IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Visti gli atti del procedimento penale nei confronti di Sgarbi Vittorio, nato a Ferrara l'8 maggio 1952, per i reati di cui agli artt. 595, commi primo e terzo del c.p. e 13 della legge n. 74/1948, in danno di Colombo Gherardo, Davigo Piercamillo, Di Pietro Antonio e Greco Francesco; Vista la questione di legittimita' costituzionale di nuovo sollevata all'odierna udienza dalla difesa con riferimento all'art. 34, comma secondo, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede la incompatibilita' determinata da atti compiuti nel procedimento da parte del giudice che, dopo aver emesso decreto di rinvio a giudizio, si trovi di nuovo a dover adottare il provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare in merito agli stessi fatti a seguito di provvedimento di restituzione degli atti al p.m. pronunciato dal tribunale; Rilevato che la questione di legittimita' costituzionale e' stata sollevata con riferimento agli artt. 3 e 24, comma secondo, della Costituzione, sotto il profilo del pari diritto di ciascun imputato non di essere giudicato da magistrati che abbiano gia' espresso valutazioni in ordine ai fatti contestati; Rilevato che la questione, rilevante nel presente procedimento, non appare manifestamente infondata, e cio' pur tenendo conto dell'insegnamento della Corte costituzionale la quale in piu' occasioni ha ricordato come in sede di udienza preliminare sia affidato al g.u.p. il compito di operare "un controllo sulla legittimita' della domanda di giudizio avanzata dal p.m.", e non quello di accertare la verita' materiale dei fatti o di esprimere giudizi sul merito della responsabilita' dell'imputato ...; che tuttavia il modulo processuale adottato dal legislatore non comporta una contrazione poteri del giudice al punto da imporgli una mera verifica dei requisiti formali della pretesa punitiva, o un'asettica ed acritica ricognizione del materiale ricevuto; che, al contrario, la necessita' di "saggiare" la legittimita' della richiesta del p.m. "nella ... prospettiva di scongiurare la celebrazione di un dibattimento supefluo" richiede un giudizio di adeguatezza delle fonti di prova rispetto all'iniziativa intrapresa; che del resto la diversita' lessicale che si coglie nella prima e seconda parte dell'art. 425, comma primo, del c.p.p. tra presupposti che devono "sussistere" e quelli che devono "risultare", segnala come, a proposito di questi ultimi, sia inevitabile una vera e propria verifica non solo dell'astratta configurabilita' dei reati prospettati, ma anche degli "elementi di prova che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio", i quali, proprio in ragione di cio', devono essere esplicitati nel corso dell'udienza preliminare (art. 421, comma secondo, del c.p.p.); che inoltre l'art. 434 del c.p.p. nel prevedere la revoca della sentenza di non luogo a procedere quando "sopravvengono o si scoprono nuove fonti di prova che, da sole o unitamente a quelle gia' acquisite, possono determinare il rinvio a giudizio", recepisce la fisiologica possibilita' della pronuncia di sentenza di N.L.P. anche in presenza di dati processuali favorevoli all'accusa; che del resto gia' nel passato, quando l'archetipo dell'art. 425 del c.p.p. ancorava la regola di giudizio dell'udienza preliminare al rigido e restrittivo parametro dell'"evidente" infondatezza della pretesa punitiva, si era manifestata una certa flessibilita' nell'interpretazione della norma, per consentire ad una categoria "filosofica" come quella dell'"evidenza" di poter essere utilizzata anche dal giurista, (che non e' un logico puro, bensi un logico pratico), e si cerco' pertanto di ammorbidire l'assolutezza del concetto per assortirlo armonicamente in un sistema che prevedeva (e prevede) l'udienza dibattimentale come eccezione, e l'obbligo di motivazione anche per le sentenze di non luogo a procedere (obbligo che sarebbe stato ovviamente superfluo nel caso in cui l'evidenza si fosse tradotta in una situazione prima facie verificabile da chiunque); che il problema maggiore, anche sotto il profilo di legittimita' costituzionale, si pose in relazione al mancato raccordo con la regola offerta dall'art. 425 del c.p.p. e quella contenuta nell'art. 125 disp. att., che indicava (e indica) nell'archiviazione il rimedio delle iniziative processuali prive di "elementi ... idonei a sostenere l'accusa in giudizio", con il risultato paradossale di lasciare l'imputato in balia delle scelte discrezionali del p.m., il quale si trovava nella condizione, nei casi in cui avrebbe potuto chiedere l'archiviazione, di scavalcare de plano l'udienza preliminare servendosi dell'asta dell'"evidenza", e inflazionare cosi' il dibattimento attraverso un processo inutile; che per ovviare alla distonia, e riallineare cosi' l'art. 425 del c.p.p. alle interpretazioni dottrinarie e giurisprudenziali piu' evolute, al principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza e di tutela del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento, ed infine alle esigenze logiche e pratiche, e' intervenuta la legge 8 aprile 1993, n. 105, che, con un piccolo e mirato intervento di chirurgia giuridica, ha asportato la parola "evidenza" dal corpo della norma; che a seguito dell'"intervento riparatore" compiuto dal legislatore, e del riconoscimento anche da parte della Corte costituzionale dell'accresciuta espansione dei poteri valutativi in sede di udienza preliminare devono ritenersi superati i dubbi sul carattere "etereo" delle decisioni del g.i.p.; che pertanto, per quanto si e' detto, non appare manifestamente infondata la questione sollevata dalla difesa Sgarbi, la quale ha rilevato come la imparzialita' del giudice per le indagini preliminari possa essere intaccata anche nel caso in cui egli venga di nuovo a essere investito della valutazione degli stessi fatti per i quali abbia gia' disposto il rinvio a giudizio;